Hacking Etico
Hacking Etico
Cappello bianco o cappello nero? L’etica degli hacker
Ilaria Matteucci, Ricercatrice dell’Istituto di Informatica e Telematica del CNR di Pisa, racconta come è nata la cultura hacking e descrive la differenza tra hacker “buoni” e hacker “cattivi”. Un contributo che contiene numerose tappe della cultura informatica.
Un club di modellismo ferroviario: le origini della cultura hacker
Negli anni ’6050, il Tech Model Railroad Club del Massachussets Institute of Technology, era un circolo dove gli studenti e appassionati di informatica, si incontravano per spingere i programmi al di là delle funzioni per le quali erano stati progettati. È proprio in questo panorama culturale di grande fermento che, negli anni ’60, comincia a diffondersi l’uso delle parole “hack”, “hacking” e “hacker”(“to hack” significa letteralmente “fare a pezzi”), associandole a chi svolge attività di sperimentazione legate ai computer e ai software.
Il software libero e i primi eroi della rivoluzione informatica
Fu proprio la diffusione del software libero a segnare un passaggio importante nella storia della cultura informatica: le licenze di software libero, infatti, permettevano agli utenti infatti di accedere al codice sorgente e usare il programma, studiarlo, modificarlo e distribuirlo, favorendo l’accesso all’informazione, elemento centrale della community. L’avvento di Internet alla fine degli anni ‘60, inoltre, accelerò il processo di organizzazione e venivano raffinate le tecnologie che favoriscono lo sviluppo collaborativo del software, la condivisione di sistemi che permettevano il controllo delle versioni e la segnalazione di bug, sempre in modo coerente col principio del libero flusso dell’informazione, il cuore della cultura hacker.
Gli anni ’80 e la questione etica
L’atteggiamento prevalente all’interno della comunità era di tipo meritocratico verso coloro che spingevano al massimo queste tecniche. Parallelamente a questi principi di lealtà e collaborazione, e al desiderio di di migliorare la vita umana, gli hacker nutrivano una forte “repulsione” per la burocrazia che, con le sue regole, limitava la sperimentazione e sembrava porre limiti ai loro obiettivi e aspirazioni.
Gli anni’80 Ottanta furono il periodo di affermazione e consolidamento della comunità degli esperti informatici, ma anche anni in cui si registrarono i primi gruppi che perpetravano attacchi a sistemi telematici per scopi del tutto personali o dimostrativi.
Hacker “cattivo” e Hacker “buono”
Si parla di hacker “cattivo”o di ”cracker”, ossia quello con il “cappello nero”, per indicare un esperto informatico che sfrutta le proprie conoscenze per recare danno agli altri. L’hacker “buono”, o hacker “etico”, invece, è quello con il “cappello bianco” che si attiene all’etica, basata sulla condivisione, l’apertura, la decentralizzazione e il libero accesso a tutti gli strumenti, così da poter migliorare i sistemi informatici. Il loro è un contributo importante negli assessment di cybersecurity, poiché mettono le loro capacità al servizio di chi deve difendersi dagli attacchi informatici, siano esse istituzioni, governi o imprese, individuando tempestivamente le vulnerabilità dei sistemi.